Bianco

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COS'È IL CLAN

Si sono viste biciclette lasciarsi morire sulla tomba del padrone. Man sah Fahrräder, die sich auf dem Grab des Besitzers sterben liessen. On a vu des vélos se laisser mourir sur le tombeau du maître.

sabato 20 ottobre 2012

Metaphysical poem / Biking Manhattan (Yes call me)


Metaphysical poem
By Frank O' Hara

When do you want to go
I'm not sure I want to go there
where do you want to go
any place
I think I'd fall apart any place else
well I'll go if you really want to
I don't particularly care
but you'll fall apart any place else
I can just go home
I don't really mind going there
but I don't want to force you to go there
you won't be forcing me I'd just as soon
I wouldn't be able to stay long anyway
maybe we could go somewhere nearer
I'm not wearing a jacket
just like you weren't wearing a tie
well I didn't say we had to go
I don't care whether you're wearing one
we don't really have to do anything
well all right let's not
okay I'll call you
yes call me


















venerdì 19 ottobre 2012

Fiorenzo Magni, 1920 - 2012



Statua del Galata Capitolino
replica romana marmorea di una delle sculture
del gruppo votivo dedicato a Pergamo da Attalo I
per le vittorie sui Galati tra III II sec. a. C.
Roma, Musei Capitolini, Sala del Gladiatore.
Provenienza: Da Roma, Orti Sallustiani
Inventario: inv. MC0747.

Fiorenzo Magni al Grand Prix des Nations del 1947.
Foto di Pier Rossi.
Autore della fotografia non identificato,
Galata morente, Roma, Museo Capitolino.
Roma, 1925 - 1934,
fotoincisione a retino, 18 x 24 cm.
Milano, fondo Scrocchi, ALBUM SCR_67 p. 124.




Magni, un Mito sui Muri
Un thè sul Grammont

Il Leone delle Fiandre racconta la sua prima vittoria sui Muri nel '49.



La corsa?
Era venerdì, e si correva domenica, domenica 10 aprile. Lasciammo la nostra roba nell’alberghetto, salimmo in bici e andammo a perlustrare il percorso, soprattutto l’ultima quarantina di chilometri. C’era il pavè, che era molto peggio di quello attuale, però finiva ai -25, poi l’arrivo a Wetteren, un po’ in salita. Quella perlustrazione si rivelò importante. Poi ci fu un altro colpo di fortuna.

Quale?
Debaets ci chiese come fossimo organizzati. Siamo solo noi due, gli risposi nel mio povero francese. Allora ci presentò un suo amico. Era un massaggiatore. ’Vengo io’, si offrì. ’Vengo io a farvi il rifornimento’. Un rifornimento volante oltre a quello ufficiale. Lo fissammo ai piedi del Muro di Grammont, che era il punto più difficile. Una borraccia di thè zuccherato. I belgi erano grandi sportivi, e in Belgio il ciclismo era lo sport nazionale, di più, una religione.

Il via?
Freddo, pioviggine e nevischio. Ero carico: due borracce sul manubrio, una sul telaio e un termos di thè zuccherato e bollente nelle tasche posteriori, e sempre nelle tasche panini e tartine. E, dietro la sella, un tubolare di scorta. Duecento corridori, almeno 150 erano belgi. La partenza era stabilita su un vialone alberato: una corda, come se fosse una corda da cavalli, da una parte all’altra della strada, e dietro i corridori. Io già davanti, pronto, concentrato. E davanti a tutti una macchina. Pronti, colpo di pistola, via, la macchina che partì piano, poi sempre più forte fino a quando liberò i corridori. E cominciò la battaglia. A quel punto, c’erano già corridori staccati di mezzo minuto.
Come andò?
Duecentosessantotto chilometri. I primi 100 li interpretai come se fossero una scuola di vita, un’accademia del ciclismo, un’università del pavè. Davanti ma coperto. Guardavo e imparavo. Quando si dovevano affrontare i tratti di acciottolato, molti si schieravano sui lati della strada, nelle banchine. Invece io rimanevo al centro: filavo, galleggiavo, volavo.
Una bici speciale?
Avevo fatto mettere della gommapiuma sul manubrio, per ammorbidire colpi e vibrazioni. Gli altri corridori mi prendevano in giro, poi mi copiarono. E avevo fatto montare cerchioni di legno. Era un legno pregiato, stagionato, trattato come se fosse vino: stava in cantina una decina di anni. Questi cerchioni di legno erano più leggeri e meno rigidi di quelli di ferro. In Italia non servivano, ma alla Roubaix e al Fiandre aiutavano. E anche le gomme erano particolari, più larghe e pesanti. La fortuna - un’altra nella mia vita - era l’amicizia con Alfredo Pitto, mezzala del Bologna e della Nazionale. Pitto aveva sposato la figlia di Clement, il re delle gomme. E così, come gomme e cerchioni, avevo proprio i Clement: i migliori.
Sul Grammont?
Andai in fuga poco dopo metà corsa, prima con altri quattro o cinque, poi da solo, sul pavè. Due-tre minuti di vantaggio. Prima del Grammont vidi il massaggiatore amico di Debaets, che mi allungò la borraccia di tè zuccherato: un toccasana. Una settantina di chilometri di fuga, poi venni ripreso da 15-20 corridori. Mancava una decina di chilometri all’arrivo. Pensai: è finita. Pensai anche: tiriamo il fiato. E mi misi in mezzo.
Si arrivò in volata?
Nonostante la fuga, ero ancora il più fresco di tutti. Fu una volata di potenza, per quella poca che ce n’era rimasta. E vinsi davanti a due belgi, Valeer Ollivier e Brik Schotte. Ma che fatica. Una fatica da morire. Però sapevo che, nonostante la fatica, sarei tornato. 

Marco Pastonesi (La Gazzetta dello Sport)