Bianco

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COS'È IL CLAN

Si sono viste biciclette lasciarsi morire sulla tomba del padrone. Man sah Fahrräder, die sich auf dem Grab des Besitzers sterben liessen. On a vu des vélos se laisser mourir sur le tombeau du maître.

venerdì 27 aprile 2012

UK frame builders

Builders & Partners












The Rapha Continental was established in the United States in 2007 with the aim of rediscovering the lost spirit of cycling. To help realise that ambition, the Rapha Continental joined forces with some of the finest independent frame builders in North America.
The result was a collection of custom bikes [ Ira RyanTony PereiraSycipDavidsonSignalRick HunterLyonsportRichard SachsBilenkySeven CyclesCircle-AIndependent Fabricationand Igleheart ] that reflected the craft and heritage of America’s framebuilders but was also versatile enough to handle the wide range of terrain the Continental riders would encounter. Meticulously designed and entirely hand built, they combined technology and innovation with individuality and flair, creating elegant, understated bikes that handled beautifully and performed brilliantly.
As the Rapha Continental continues to expand, Rapha will be collaborating with some of the best bespoke frame builders in each Continental territory. We start in the UK, with Ricky Feather,Dave YatesTom DonhouRourke Cycles and Robin Mather.
Ci sarebbe da aggiungere: quando l'industria ciclistica italiana capirà il valore del fatto a mano?

martedì 24 aprile 2012

Alpe di Neggia, 1395 s/m


















CARTOLINE DA BERLINO V


UN ANGELO NELLA FORESTA, Se ti trovi nei pressi del Grunewald e decidi di entraci puoi imbatterti in suggestive situazioni. Appena superi l'isola dei pavoni devi seguire un pannello in legno inciso, con una scritta poco leggibile che dice : "Friedhof Grunewald-Forst", si tratta di un piccolo cimitero sconsacrato nascosto tra gli alberi, ti ci porteranno sterrati poco battuti, quando l'avrai raggiunto non dimenticarti di passare a salutare la bellissima NICO e sua madre che lì riposano. Questo luogo sembra essere dedicato ai non credenti e ai suicidi, NICO è deceduta a causa di un banalissimo incidente in bicicletta.

martedì 17 aprile 2012

Amstel Gold Race, sabato 14 aprile 2012

La storia
Bar dell'aereoporto di Brussels


Garage dell'Hotel du Casque a Maastricht









Venerdì 13 aprile

“Sono arrivate le bici!”. Il battere di questo tam tam risuona in molti dei nostri telefonini il tardo pomeriggio di venerdì. Il furgone di Alessandro è a Maastricht e molti di noi, chi alzandosi dal letto della sua stanza, chi scolando velocemente gli ultimi sorsi di birra in uno dei tanti locali della città, si incamminano verso il garage dell’albergo per provvedere agli ultimi aggiustamenti del mezzo che il giorno successivo ci avrebbe permesso di correre l’Amstel.
Il garage si trasforma presto in un’officina febbrile: “Ce l’hai una brugola”, “Il lubrificante qualcuno l’ha portato?”, “Lascio la pompa qui a lato, io gonfio le ruote domattina”, “Cazzo, le forbici!”, “Le ho io, tranquillo”. Alla fine, vedere tutti i nostri cavalli a riposo dava un senso di gruppo, di gregge  nell’ovile, di un’unità che il giorno dopo avrebbe dato riconoscibilità alla nostra presenza.
Sabato 14 aprile ore 4,30
Alla spicciolata scendiamo a fare colazione, silenziosi. La giornata sarà lunga e inizia con le solite considerazioni. C’è chi come al solito bleffa: “Non ho chiuso occhio come sempre”, ma tutti sappiamo che poi andrà fortissimo perché sono settimane che si prepara all’evento.
Ore 6,13
Siamo sul treno Maastricht – Valkenburg. Tante cavallette colorate di bianco – nero  - rosso invadono il vagone. Dieci minuti o poco più e siamo fuori, ad attenderci un fantasma nelle goccie d’umidita sospese nell’aria del freddo mattino. Ale Albano è lì per guidarci alla partenza.
“Partiamo?”, “Aspetta!”, “Ora!”, “Via!”. Lo sciame Cassinis si anima, lo speaker ci nota, non può non vederci, e allegro saluta Milano.

A questo punto inizia per ciascuno di noi la sua Amstel. Ci si tara sulle potenzialità dei tuoi compagni, si cercano alleanza per sopravvivere. A nulla servirebbe tentare di star dietro a chi è più forte di te perché è molto più allenato o semplicemente perché più forte. Si sfruttano le scie e si ringraziano le forature altrui per respirare un po’. E quando un gruppo di dieci ciclisti schianta a terra tre metri davanti a te sul Keuteberg impedendo la tua allegra ascesa, alla fine non ti senti umiliato per aver messo anche tu i piedi per terra, perché sei certo che così avrai molte più foto che ti immortalano mentre spingi la bici a mano su per il muro.
Ci sarebbero tante immagini da ricordare, da quella di Piotr, almeno sessant’anni, colosso dai glutei alla Ribot, che elegante nella sua tuta color carta da zucchero spinge in pianura come un diavolo,  ai molti profili femminili che sotto il caschetto, dal cui retro scendono capelli biondi, appaiono più gentili, alle urla gutturali dei fiamminghi e olandesi che ti chiedono strada sulle piste ciclabili (“Ma dove vuoi andare, stronzo? Vado quanto te e forse di più!”; che dire poi del momento in cui nel bosco ci si è incrociati tra noi, procedendo in senso contrario, e in un baleno ci si è salutati e ci si è detti informazioni su altri compagni? L’ultima curva, prima del Cauberg, è stato il momento più emozionante per me, quando la folla (io vedevo solo gentili figure femminili o angeli) ti incitava e intuivi che quello era il tifo che trovi prima dell’ultima fatica. Ricompensata dalla stretta di mano col tuo compagno degli ultimi chilometri e dal tuo nome che senti pronunciare sulla linea d’arrivo dagli altoparlanti. “Evviva! Ce l’abbiamo fatta!”.