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COS'È IL CLAN

Si sono viste biciclette lasciarsi morire sulla tomba del padrone. Man sah Fahrräder, die sich auf dem Grab des Besitzers sterben liessen. On a vu des vélos se laisser mourir sur le tombeau du maître.

mercoledì 22 aprile 2015

4 APRILE 2015 > RONDE VAN VLAANDEREN CYCLO



























Da qualche anno condivido con Alessandro l’amore per le classiche del nord e quest’anno, dopo l’esperienza della Parigi – Roubaix Cyclo del 2014, siamo riusciti a contagiare Simone che ha voluto accompagnarci a Bruges. Molti appassionati hanno già corso la Ronde, altri non ci pensano nemmeno a provarci, altri ancora aspettano per rifarla o per farla per la prima volta il ritorno nel percorso del "Muur", il muro di Grammont, sulle cui pietre Cancellara nel 2010 mise il turbo per fiaccare Tom Boonen).
Decidiamo di partire la mattina di giovedì 2, per poter visitare il venerdì Bruges (paragonabile per la bellezza e la ricchezza dei musei e delle chiese, ma con le dovute proporzioni, a Firenze o Venezia).


































































Le previsioni dicono che cadrà qualche goccia solo il mattino del giorno della gara e che la temperatura si assesterà intorno agli 8-9 gradi. 
Ho sempre avuto un debole per la componentistica ciclistica e come feci nel resoconto della Roubaix del 2014, vorrei descrivere con che bici ho corso.
Nelle Fiandre ci sono andato con la mia Scapin Epta, un telaio in acciaio che dovrebbe stare in un museo della bicicletta. Monta trasmissione e i freni Sram Red, impreziositi da una guarnitura Extralite E-Bones QRC, corone Extralite 50/34 color bronzo, stem e manubrio Cinelli in carbonio, reggisella Thomson Elite e sella Selle Italia Storika (la stessa utilizzata per la Roubaix, perché quella in carbonio che di solito ho su questa bici non mi sembrava  adatta al percorso). Per quanto riguarda le ruote, ne ho fatto assemblare un paio un po’ “estremo”, con mozzi Tune con 16 fori avanti e 20 dietro, raggi Pillar, attorno a cerchi in carbonio alti 38 mm e larghi 25, affinché i tubolari Veloflex Arenberg da 25 vi alloggiassero al meglio. Insomma tanta sostanza. Portaborraccia Tune. Peso della bici (ricordo in acciaio) poco sopra i 7 kg.



Chiusa la parentesi tecnica.
Bram, il padrone della bella casa che abbiamo affittato a Bruges, 38 anni come Sven Nys mi dirà (non potevo non fargli domande sul ciclocross), ha corso diverse edizioni della Ronde e anche quest’anno sarà al via. Ci dà molti suggerimenti e soprattutto abbiamo subito la percezione che ci troviamo in un luogo in cui il ciclismo è una religione, come il calcio in Brasile e il ragù a Napoli.
Chi è stato da quelle parti sa che la birra è la seconda religione fiamminga dopo il ciclismo e forse ancora più praticata.
Sabato mattina verso le 6, dopo la colazione, a base di porridge rigorosamente bio (così alimento qualche maldicenza in più), abbiamo la certezza che le previsioni erano sballate, fuori pioviggina sì, ma fa anche molto più freddo del previsto, siamo poco sopra i 2 gradi. Simone opta per due maglie intime e per una maglia misto lana, mentre io e Alessandro non abbiamo che da indossare sopra l’intimo la Gabba di Castelli, antivento e antipioggia, ovvimente coi manicotti, ma adatta per temperature più miti. Io e Simone vestiamo entrambi il pantaloncino corto invernale e il cappellino di cotone. Nessuno di noi ha i guanti in neoprene (che ingenui), tutti e tre le ghette (antipioggia?) e degli striminziti giacchini antipioggia di quelli che da noi d’estate si mettono per scupolo in una delle tasche posteriori. Va detto che generalmente quando piove è meglio non vestirsi troppo ma se fa freddo potrebbe essere un errore.
Comunque usciamo di casa per essere nella piazza di Bruges alle 6:30 dove arriviamo sotto un leggera pioggerellina e troviamo già in posizione molti ciclisti che faranno il percorso di 240 km. 






























Le lingue diverse risuonano, si sente insiene al tedesco, l’inglese e il francese, anche l’italiano, ma soprattutto il fiammingo. La piazza è di una bellezza unica, coi ciclisti sotto la leggera pioggia è ancora più bella, anche se ai piedi la alta torre si alza il brutto palco su cui l’indomani saranno presentati i protagonisti della gara dei professionisti.  Alle 7 in punto, quando è ancora buio, risuona il colpo di pistola e via, si parte. Bram, il giorno prima, dopo l’elogio della mia bici (altre maldicenze…, del resto lui ha corso con una De Rosa Titanio Solo, quindi è uno che ne sa…), ci aveva raccomandato di partire forte per arrivare il prima possibile all’appuntamento coi muri.
Alessandro parte a tutta, io e Simone ci inseriamo in un gruppo che viaggia intorno ai 35 orari, proviamo a risalire aumentndo la velocità, ma non riusciremo a riprendere Alessandro che al primo ristoro dopo 49 km. Intanto la pioggia da leggera alla partenza si è trasformata in vero acquazzone infame e Alessandro lo troviamo ad attentderci già tremante. A peggiorare le nostre condizioni ci ha pensato l’organizzazione, niente tè o bevande calde ai ristori, solo tank con una miscela orrenda di acqua e sali minerali. Per fortuna ci sono le goffres.
Secondo ristoro al 99 km, siamo completamente bagnati e io e Alessandro tremiamo per il freddo, mentre Simone sembra proprio a suo agio. Riusciamo a chiedere agli addetti ai soccorsi dei guanti di plastica da mettere sotto i nostri invernali che ci salveranno in parte dal disatro. Al 100 km però, prendo coscienza di essere, se non il più preparato dei tre, il più maturo e “impongo” una sosta in un bar, dove beviamo tè davanti a una stufa presso la quale ci spogliano e proviamo ad asciugare gli indumenti. Fuori ci sono 3 gradi. La fermata si protrarrà per una quarantina di minuti ma se non avessimo deciso di farla avremmo probabilmente abbandonato. Tutti voi avete vissuto quei momenti in cui si è sul punto di mollare, di dire “chi me lo ha fatto fare?” e conoscete anche la caparbietà che anima i ciclisti, che li convince a proseguire e superare le avversità, così come il piacere che ci invade come una droga quando si riesce a portare a termine un proposito a lungo desiderato.
Usciamo dal bar, stiamo meglio e anche il cielo è cambiato, resta grigio ma non piove più. Abbiamo freddo ma sappiamo che dopo i primi chilometri passerà.
Ci attendono finalmente i muri del Fiandre.



























Mi soffermerò sue tre solamente.
Il Koppenberg per il punto in cui si trova nella corsa rappresenta l’equivalente della Foresta di Arenberg alla Roubaix. È una strada in pavè con pendenze che arrivano al 22% e con pietre che non mi aspettavo di trovare così aguzze (caratteristica che sarà confermata da altri tratti). Purtroppo il desiderio di farlo tutto in sella è stato deluso. Lo prendiamo a tutta ma la pioggia l’ha reso fangoso e sembra di essere a una di quelle prove di Giochi senza frontiere che i meno giovani di noi ricondano sicuramente. I ciclisti ti scivolano davanti, a poche spanne dalla tua ruota e non puoi che mettere i piedi a terra. Solo Alessandro proverà a resistere ma sarà disarcionato dalla sua stessa bici che se ne andrà per i fatti suoi da sotto il suo culo. Alle fine, sono contento di avere assaporato anche questa esperienza. Bici in spalla e su a piedi come in tante immagini del Koppenberg. 






















































Da qui in avanti però il fondo pur rimanendo fangoso diventerà più pedalabile e le mie ruote galleggeranno sulle pietre spinte anche dagli incoragiamenti del pubblico che è veramente commuovente. Ti vede salire a meno di 10 all’ora forse, con le spalle che salgono e scendono provando a spingere anche loro la bici in avanti, e ti applaude, ti sorride. Domani i professionisti più forti saliranno per queste rampe a più di 20 all’ora.
Simone è in grande forma, chi di voi ci ha pedalato insieme negli ultimi tempi lo sa già, ed eccolo affrontare un muro dietro l’altro da grande passista, Alessandro in mezzo e io a chiudere. Gli passo ai due 13 e 10 anni, forse non è giornata, forse alla fine verrà fuori la mia “classe”, forse sono meno forte punto e basta.
















































































Ci ricompattiamo alla fine di ciascun muro o delle serie di essi che in alcuni casi la Ronde presenta.
Siamo attorno ai 220 km e ci aspettano ancora due tratti di pavè bellissimi, l’Oude Kwaremont, il più lungo coi suoi 2000 m senza pendenze impossibili e forse il più bello da affrontare perché ti lascia respirare e volgere lo sguardo oltre la ruota anteriore, e l’ultima stilettata, con un nome che comunica da solo rispetto, il Paterberg, brevissimo, 400 m soltanto, ma con punte al 20%. Se il Koppenberg l’ho associato alla Foresta di Arenberg, il Paterberg si trova alla fine, esattamente come il Carre Four de l’Arbre alla Roubaix. Ormai ci siamo, ma il forte Simone viene tradito dalla sorte. Prima dell’Oude Kwaremont fora, cambia la camera d’aria e poi compie un’azione che non avrebbe dovuto fare. Io e Alessandro montiamo tubolari e sapendo cosa ci aspetta li sgonfiamo il giusto per prendere in sicurezza l’ultimo muro, Simone decide si seguirci e gonfia meno del dovuto le sue camere in lattice. Ma quello che dà buoni frutti sui tubolari può essere pericoloso con le camere d’aria e viceversa. Quindi accade l’inevitabile, mentre noi ingnari proseguiamo e attacchiamo il Paterberg lui alle nostre spalle fora per la seconda volta, nuovamente sul pavè. E così, dopo che ci ha sempre preceduto su ogni dente di questa Ronde, ci troviamo a precederlo e tifarlo lassù in cima mentre ci raggiunge sorridente. 
Abbracci e quasi lacrime di felicità di essere a un passo dal compiere il nostro sogno. Il tratto che manca è veloce e tutto asfaltato. Invece no. Il vento freddo che per tutta la giornata ci ha accarezzati ora ci sta prendendo letteralmente a schiaffi e dobbiamo stringere veramente i denti per riuscire a mantenere una velocità dignitosa dietro Simon Boonen che sembra non accorgersi delle raffiche.
Tagliamo il traguardo insieme a Oudenaarde, mentre affermo che stavo iniziando a divertirmi, che la gamba aveva iniziato a girare fluida e che mi sarei fatto altri 30 km. Ma è vero, quando tagli un traguardo del genere insieme alla gioia per avercela fatta coesiste il dispiacere perché sia finita.
La birra fresca finale riuscirà a farci apprezzare anche la pasta alla “bolognese” presa al chiosco. 
Alla fine Bram ci scriverà che è stata la peggiore Ronde da lui mai corsa.

La sera siamo stanchi e ce ne stiamo a casa, cibo e birra non mancano per festeggiare.
Domenica andiamo alla partenza della gara, l’atmosfera è bella e il cielo sorride con un tiepido sole ai ragazzoni che si apprestano alla sfida. Il corridore da classiche è fisicamente diverso dall’immagine che abbiamo solitamente del ciclista, più vicino a quello di una ballerina di danza classica che a quello di una macchina di muscoli e intelligenza. Questi invece son proprio ben messi, bicipiti e tricipiti d’acciaio per non parlare delle gambe.
Partono anche loro, ma alle 10:30, col colpo di pistola.










Impegniamo la mattinata per musei e in quello che ci riesce sempre bene, cioè mangiare. Nel primo pomenriggio ci rechiamo nel negozio di bici Excellerbikes che ha allestito, come ogni anno, un grande schermo per vedere la gara . La platea  parla le principali lingue del ciclismo e lì incontriamo anche Dora e Luigi che è venuto apposta a Bruges per acquistare un telaio da pista in questo bel negozio. Grandi chiacchiere e storie di ciclismo, i commentatori della tv li sento persino dire Coppa Bernocchi (che conoscenza e amore per questo sport) per commentare la gara che stanno facendo davanti Kristov e Terpstra, il quale forse non si sta rendendo conto che sta servendo su un piatto d’argento la vittoria al norvegese. Alla fine, nel giorno di Pasqua è giusto che abbia vinto Kristov, anche perché, senza bisogno di un miracolo, ha mostrato di essere il più forte.

Leonardo